La Donna del Lago, ma si può? Che ruolo stupido. Sembro una bomboniera. Ma perché non potevo fare lo Spirito della Luce? Fissò sconsolata le scarpette d’argento.
- Aha, e con questa spada salverò il regno! Grnf! BUM.
Risate. Quella scena funziona, una soddisfazione, l’aveva scritta lei. Ai bambini piaceva la figura del vecchio re rimbambito che inciampava e cadeva ogni 30 secondi. A questo punto ancora poco e poi in scena. Meno male, faceva freddo.
Si guardò intorno. Che posto orrendo per la prima. Una vecchia palestra anni ’60 costruita in fretta e furia con i peggiori materiali possibili, ora una triste e squallida scatola in una triste e squallida cittadina dell’hinterland milanese.
Si alzò e cominciò a sgranchirsi le gambe, non poteva mica strapparsi un muscolo con quel salto che doveva fare. Guardò irritata la spumeggiante gonna celeste e cercò di lisciarla, di farla sembrare più piatta e stretta possibile.
Avrebbe adorato questo vestito a 6 anni. Avrebbe dato ogni indumento del suo guardaroba per possedere questa magnifica celebrazione di fiocchetti e merletti. L’avrebbe amato così tanto da sentirsi male. Sua madre avrebbe potuto toglierglielo soltanto dopo che si fosse addormentata.
Ma a 40 anni, no.
Sbirciò dalla quinta e vide una fila di bambini seduti per terra a gambe incrociate. I loro visi erano pallidi, ma gli occhi scintillavano, le bocche erano aperte in grossi sorrisi a tutta dentatura e ridevano di cuore. Non poté trattenersi, sorrise. Nonostante lo stupido irritante costume da Signora del Lago, sorrise.
- Aha! Lurido mascalzone! Adesso ti uccido! Il collega attaccò un albero in cartapesta con la spada.
- È’ un albero! gridarono i bambini, è un albero, non un uomo!
La felicità è bambina, pensò. No, non è bambina. Sì ricordò una frase letta da qualche parte. La felicità è l’accettazione dei propri limiti. Sapeva perfettamente che non avrebbe mai calpestato il palco a Shaftesbury Avenue a Londra pronunciando parole shakespeariane. Che non ci sarebbe mai stato un Pirandello al Piccolo. E non le importava nulla, perché amava quei visi pallidi e quei sorrisi in quelle squallide palestre.
La felicità era accettare questo, perché la felicità stava in quelle faccine portate oltre i loro confini, portate lontano dall’hinterland e per un’ora e mezza depositate in un bosco con un vecchio re rimbambito e una bomboniera di mezz’età. Era una consolazione? Piuttosto uno scopo. Se un solo bambino avesse superato i suoi limiti e vissuto sognando perché a 8 anni aveva visto la Signora del Lago in una palestra rovinata, allora ne era valsa la pena.
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