Wednesday, April 15, 2009

In Riva al Fiume

Sto qui seduta in riva al fiume. Aspetto i cadaveri che mi hanno promesso. Quelli dei miei nemici.
Non arrivano.
Il più recente mi ha soffiato il lavoro. Aspettavo la chiamata per ultimare l’accordo. Il tipo non chiamava ma io aspettavo. Perché doveva chiamare lui, no? Perché chiamare io se l’accordo era diverso? E poi quell altro ha chiamato, ha saputo da conoscenze comuni, ha telefonato e in cinque minuti il loro accordo era fatto.
La prima invece risale alla mia infanzia. Era la mia torta di compleanno, e la fetta in più spettava a me. E invece ecco quella smorfiosa bionda a fare i sorrisoni a mia mamma, e puf! La mia bella fetta di torta farcita di panna e fragole è sparita. Ho sempre detestato quella bambina, anche quando è cresciuta e rimaneva snella mentre io mettevo su i chili dell’adolescenza.
In ordine sparso a rovinare il clima sereno della mia vita sono seguiti altri che aspetto fiduciosa di vedere passare a faccia in giù nelle acque lente e profonde della mia vendetta passiva.
C’era quello che mi piaceva, mi piaceva tanto. Mi piaceva di mattina, di pomeriggio, di sera, nelle ore diurne e quelle notturne, nei fine settimana e nelle giornate feriali. Purtroppo a lui piacevano anche altre, e io allora per fargli capire cosa stava per perdere mi sono fatta piacere anche altri di mattina, di pomeriggio e così via. Peggio ancora, ho sopportato lui, mi sono fatta zerbino.
E le donne zerbino con una decina di fidanzati fanno fatica a piacere per davvero.
Passerà senz’altro quella tipa che aveva tutto. Aveva il fidanzato perfetto mentre io facevo lo zerbino, il lavoro perfetto mentre io leggevo gli annunci sul giornale, una taglia 42 mentre io buttavo la bilancia nel bidone della discarica, il rossetto sempre in ordine anche quando mangiava (sì, mangiava, e mai un kilo di troppo). Tutto a lei e niente a me? Ma dico, poi vogliono che amiamo il prossimo come noi stessi. Ma va là.
Sarà forse a faccia in su quello insopportabile che sorrideva sempre, quello che mi ha fatto donare i soldi che volevo tenere all’associazione per bambini ammalati e poi fare dei lavori per loro senza paga. Ma vi sembra giusto? Mi ha praticamente obbligata, chiedendomi la cosa davanti a un tizio che mi piaceva tanto e da chi in più speravo di farmi dare un lavoro. Come dire di no?
Ora che ci penso anche quel tizio lì dovrebbe passare tra poco. Ero in gran forma in quel periodo e lui sembrava non notare nulla. Andavo in palestra, andavo dall’estetista, ero curata in ogni aspetto e anche se lo dico io, proprio una bella tusa. Decisamente la più bella del gruppo, non è falsa modestia, era ovvio. E lui, niente. Si è pigliato quella segretaria modesta e anonima, una nullità.
Sto qui e aspetto i miei nemici.
Ma andate a vedere che sarò io a dover passare, la mia peggiore nemica.

Wednesday, March 25, 2009

Viola

I tuoi colori ormai sono viola, giallo, un po’ di nero e un po’ di bianco. Ma principalmente viola. Eliana viola. Il bianco era già tuo in vita, ma i capelli ossigenati magari erano più in ordine. Le settimane nel bosco non hanno giovato. Ma io riesco a immaginarli. Quelli di Marilyn. Ti facevano da nuvola intorno alla faccia.
Gli altri colori non so, forse. Il viola del livido fresco, il giallo di quello vecchio, non so se avevi i lividi. Magari quando non portavi a casa abbastanza bigliettoni a fine serata. Perché so che mestiere facevi Eliana, non c’è altro modo per finire in un bosco non cercata e trovata solo per caso.
Ma non ti giudico. Inerme e senza difesa allora come sei adesso. Ti ho chiamato Eliana, ma magari presto verrà qualcuno dalla questura e mi dirà che ti chiamavi Olga, o Tatiana. Russa, rumena, ucraina, forse italiana.
Ti piace il nome Eliana? Sono qui da solo, sai. Gli altri non vogliono, verranno solo quando c’è da portarti di là, nella sala del dottore. Non ti farà del male, Eliana, non ti preoccupare. Ti metterà le mani addosso e ti squarterà un po’, ma è per te, per aiutarti. Le sue sono carezze, un dialogo. Non puoi raccontarci cosa ti hanno fatto, ma lui saprà dirci cos’è successo Eli, ascolterà il tuo corpo.
Noi due siamo gli unici a chi non fai senso, noi vediamo oltre. Le tue gambe ora saranno viole, ma io vedo come sono ancora belle, lunghe e snelle. Troppo belle per stare a fianco di una strada lungo un bosco-discarica. Le tue mani ormai sono nere, ma io vedo la loro grazia. Mani che dovevano accarezzare una faccia amata, non fare cose oscene per dei bigliettoni. La tua faccia non la leggo bene Eli, quanti anni hai? Neanche trenta, vero? Occhi spalancati, sorpresi, occhi che hanno visto di tutti i colori, ormai sfere gialle che fuoriescono dai loro orbiti. Troppo scioccati dalla vita per chiudersi, vero? Non ti preoccupare Eli, ho visto abbastanza occhi vivi per sapere che i tuoi, che ora fanno abbassare lo sguardo persino di quelli della scientifica, erano bellissimi.
Vorrei chiuderti la bocca, Eliana, per evitare che ti casca la lingua. E’ sgraziata, quella cosa, e mi dispiace. Vorrei ricomporla per il dottore. Ma non ti preoccupare, lui ti guarderà in bocca, come dal dentista, non ti farà male, e poi mi lascerà chiuderla. Sa che ci tengo a curarti, a curare tutti voi. Lui è una brava persona, mi lascia prendermi cura di voi, che gli altri a volte non vogliono.
Viola.
Violata.
Violentata.
Dormi Eliana, ti curo io.
Dormi Eliana, non ti lascerò sola.

Monday, January 5, 2009

Pensieri di un vecchio e irritato piantone

Io sono un sopravvissuto. Credo perché significo qualcosa. Per quelle irritanti, micidiali creature che sostano sotto di me, pare che io abbia un senso.
Devono cercare del senso in tutto, tutto ciò che ha già un senso semplicemente perché è. In questo mondo, nulla è apparso per caso. Ogni cosa c’entra con ogni altra cosa, ogni cosa è causa e effetto, catalizzatore e risultato.
Ma quegli esseri, mobili nello spazio e brevi nel tempo come noi non lo siamo, ci sterminano.
Io no, mi hanno dato persino un nome: il piantone.
Sentimento?
Sentimentalismo.
Non hanno esitato ad abbattere il gelso degli appuntamenti a Daverio; il tiglio della piazza di Casale Litta è stato tirato giù perché il loro puzzolente rumoroso mostruoso pullman non riusciva a fare manovra per tornare indietro. Fino a pochissimo fa quella nuda, brutta piazza è rimasta calva. La sua vita, il suo colore, il suo vigore finiti anni fa in qualche stufa.
Io no, e ce l’ha fatta anche la camelia che sta un po’ in là, perché sta in fondo a un giardino privato, non blocca i pullman e non è terreno agricolo. Il cedro, beh, finisci su un libro e sei un mito. Ora il cedro è recintato. E’ diventato un albero ermetico.
Solo.
Natura morta.
Poi ogni tanto si pentono.
L’albero gelso è stato ripiantato da qualche buon anima. E’ venuto uno di loro dipinto di verde e ha detto delle cose, cose giuste, condivisibili da noi nel nostro lungo e lento ponderare. Ogni tanto sorprendono.
Nella piazza di Casale Litta c’è un infante, appena staccato dal ramo madre, attaccato a un bastone per aiutarlo a reggersi. I primi passi nel vento ancora non riesce a farli.
Siamo alberi di seconda generazione, cresciamo in due metri quadrati di terreno confinati tra pietre “decorative”. Siamo stati partoriti da loro. Non cresciamo nella congrega dei nostri simili, non sussurriamo i messaggi attraverso la rete dei rami e ramoscelli, il bosco per noi è misterioso, atavico, un ricordo nella nostra corteccia che ogni tanto fluttua davanti a noi ma che non riusciamo mai del tutto ad afferrare.
Il ciliegio selvatico di Casale Litta, piantata dal vento e cresciuto dalla pioggia e dal sole, è stato abbattuto perché poteva cadere sul tetto di una casa che ora giace dove hanno strappato le ultime viti. Sarebbe caduta prima la loro miserabile confezione di mattone che non l’albero.
Poveri illusi, credono di tenerci sotto controllo.
Poveri illusi, noi c’eravamo prima di loro, parlavamo al vento e parliamo ancora a chi ci sa ascoltare, e quando noi staremo zitti, il nostro silenzio sarà anche il loro.
E quando noi staremo zitti, li avremo abbattuti tutti.


"Il piantone" sorge maestoso a metà di via Veratti, Varese