Monday, January 5, 2009

Pensieri di un vecchio e irritato piantone

Io sono un sopravvissuto. Credo perché significo qualcosa. Per quelle irritanti, micidiali creature che sostano sotto di me, pare che io abbia un senso.
Devono cercare del senso in tutto, tutto ciò che ha già un senso semplicemente perché è. In questo mondo, nulla è apparso per caso. Ogni cosa c’entra con ogni altra cosa, ogni cosa è causa e effetto, catalizzatore e risultato.
Ma quegli esseri, mobili nello spazio e brevi nel tempo come noi non lo siamo, ci sterminano.
Io no, mi hanno dato persino un nome: il piantone.
Sentimento?
Sentimentalismo.
Non hanno esitato ad abbattere il gelso degli appuntamenti a Daverio; il tiglio della piazza di Casale Litta è stato tirato giù perché il loro puzzolente rumoroso mostruoso pullman non riusciva a fare manovra per tornare indietro. Fino a pochissimo fa quella nuda, brutta piazza è rimasta calva. La sua vita, il suo colore, il suo vigore finiti anni fa in qualche stufa.
Io no, e ce l’ha fatta anche la camelia che sta un po’ in là, perché sta in fondo a un giardino privato, non blocca i pullman e non è terreno agricolo. Il cedro, beh, finisci su un libro e sei un mito. Ora il cedro è recintato. E’ diventato un albero ermetico.
Solo.
Natura morta.
Poi ogni tanto si pentono.
L’albero gelso è stato ripiantato da qualche buon anima. E’ venuto uno di loro dipinto di verde e ha detto delle cose, cose giuste, condivisibili da noi nel nostro lungo e lento ponderare. Ogni tanto sorprendono.
Nella piazza di Casale Litta c’è un infante, appena staccato dal ramo madre, attaccato a un bastone per aiutarlo a reggersi. I primi passi nel vento ancora non riesce a farli.
Siamo alberi di seconda generazione, cresciamo in due metri quadrati di terreno confinati tra pietre “decorative”. Siamo stati partoriti da loro. Non cresciamo nella congrega dei nostri simili, non sussurriamo i messaggi attraverso la rete dei rami e ramoscelli, il bosco per noi è misterioso, atavico, un ricordo nella nostra corteccia che ogni tanto fluttua davanti a noi ma che non riusciamo mai del tutto ad afferrare.
Il ciliegio selvatico di Casale Litta, piantata dal vento e cresciuto dalla pioggia e dal sole, è stato abbattuto perché poteva cadere sul tetto di una casa che ora giace dove hanno strappato le ultime viti. Sarebbe caduta prima la loro miserabile confezione di mattone che non l’albero.
Poveri illusi, credono di tenerci sotto controllo.
Poveri illusi, noi c’eravamo prima di loro, parlavamo al vento e parliamo ancora a chi ci sa ascoltare, e quando noi staremo zitti, il nostro silenzio sarà anche il loro.
E quando noi staremo zitti, li avremo abbattuti tutti.


"Il piantone" sorge maestoso a metà di via Veratti, Varese

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