Monday, January 14, 2008

La Donna del Lago

La Donna del Lago, ma si può? Che ruolo stupido. Sembro una bomboniera. Ma perché non potevo fare lo Spirito della Luce? Fissò sconsolata le scarpette d’argento.

- Aha, e con questa spada salverò il regno! Grnf! BUM.

Risate. Quella scena funziona, una soddisfazione, l’aveva scritta lei. Ai bambini piaceva la figura del vecchio re rimbambito che inciampava e cadeva ogni 30 secondi. A questo punto ancora poco e poi in scena. Meno male, faceva freddo.

Si guardò intorno. Che posto orrendo per la prima. Una vecchia palestra anni ’60 costruita in fretta e furia con i peggiori materiali possibili, ora una triste e squallida scatola in una triste e squallida cittadina dell’hinterland milanese.

Si alzò e cominciò a sgranchirsi le gambe, non poteva mica strapparsi un muscolo con quel salto che doveva fare. Guardò irritata la spumeggiante gonna celeste e cercò di lisciarla, di farla sembrare più piatta e stretta possibile.

Avrebbe adorato questo vestito a 6 anni. Avrebbe dato ogni indumento del suo guardaroba per possedere questa magnifica celebrazione di fiocchetti e merletti. L’avrebbe amato così tanto da sentirsi male. Sua madre avrebbe potuto toglierglielo soltanto dopo che si fosse addormentata.

Ma a 40 anni, no.

Sbirciò dalla quinta e vide una fila di bambini seduti per terra a gambe incrociate. I loro visi erano pallidi, ma gli occhi scintillavano, le bocche erano aperte in grossi sorrisi a tutta dentatura e ridevano di cuore. Non poté trattenersi, sorrise. Nonostante lo stupido irritante costume da Signora del Lago, sorrise.

- Aha! Lurido mascalzone! Adesso ti uccido! Il collega attaccò un albero in cartapesta con la spada.
- È’ un albero! gridarono i bambini, è un albero, non un uomo!

La felicità è bambina, pensò. No, non è bambina. Sì ricordò una frase letta da qualche parte. La felicità è l’accettazione dei propri limiti. Sapeva perfettamente che non avrebbe mai calpestato il palco a Shaftesbury Avenue a Londra pronunciando parole shakespeariane. Che non ci sarebbe mai stato un Pirandello al Piccolo. E non le importava nulla, perché amava quei visi pallidi e quei sorrisi in quelle squallide palestre.

La felicità era accettare questo, perché la felicità stava in quelle faccine portate oltre i loro confini, portate lontano dall’hinterland e per un’ora e mezza depositate in un bosco con un vecchio re rimbambito e una bomboniera di mezz’età. Era una consolazione? Piuttosto uno scopo. Se un solo bambino avesse superato i suoi limiti e vissuto sognando perché a 8 anni aveva visto la Signora del Lago in una palestra rovinata, allora ne era valsa la pena.

Wednesday, January 2, 2008

Scoop a Baltimora

- Cara, che c’è? chiese Doug.
- E’ successo di nuovo quella cosa rispose sua moglie Jane. Quella del mese scorso.
- Ancora? Sicura?
- Sì.
Con una mano Doug tirò su le coperte per coprire il suo imbarazzo. La camicia del pigiama invece ce l’aveva ancora addosso.
Jane lisciò e sistemò la sua camicia da notte che non si era tolta.
- Ma cos’è che succede esattamente?
- Non so. Mi piace. Lo facciamo come ogni mese. Poi comincia come un solletico lì. Poi mi piace di più, e tutto d’un tratto è come l’esplosione di una bomba a mano.
- Una bomba a mano? Scusa, ma tu quando hai visto una bomba a mano?
Doug era confuso.
- Ho visto un film in TV da Marjory, e c’era un soldato e ha lanciato una bomba. Santo cielo, che disordine!
- Quindi senti il disordine?
- Scusa?
- Ciò che provi è il disordine, è quello che ti piace?
- Ma santo cielo no! Non sopporto il disordine! Pensa che ieri ho aperto il cassetto delle tovaglie, e non hai idea, tutto disfatto! Niente piegato come si deve, gli orli non erano in linea! Devo proprio parlare con Betsy.
- Con Betsy? Del piacere?
- Ma no! Delle tovaglie. Le domestiche vanno tenute in riga. E’ proprio stancante.
- Cosa, il piacere?
- No, no. Le tovaglie, le domestiche. Però sì, anche il piacere. Mi viene sonno dopo. Mi sento proprio un gran sonno addosso.
Doug era preoccupato. E se ci fosse qualcosa che non andava con Jane? Poteva essere l’inizio di quella cosa di sua nonna, che si appisolava sempre e poi non capiva dove o chi era.
Doveva fare qualcosa.
E soprattutto forse non doveva più fare quella cosa una volta al mese. Sua moglie poteva ammalarsi.

Le scarpe di Dottor Stolper scricchiolavano mentre camminava su e giù davanti alla coppia seduta sul piccolo divanetto in pelle scura.
- Mi descriva ancora ciò che ha provato, signora.
- E’ come una bomba a mano.
- Proprio una bomba a mano? Non un dispositivo telecomandato? Militare o domestico? Magari un molotov?
- Ah… non saprei…
- Hmm. L’intensità di questa esplosione su una scala da 1 a 10?
- Direi 15.
- Durata? Tre minuti? Dieci minuti?
- Qualche secondo, più di 5 e meno di 15, varia.
- In base a cosa?
- In base a quanto mi piace.

Il dottore la contemplò. Poi contemplò il divano in pelle scura.
- Signora, io e i miei colleghi dovremo eseguire una lunga serie di esami invasivi. Dovrà pazientare. Mi scusi un momento.
Alzò la cornetta del telefono.
- Dottor Brody, può venire qui un momento? Ho un caso affascinante. Di grande valore scientifico. Venga. E già che c’è, chiami suo cugino, quello che fa il giornalista al Baltimora Times…

(NdA: questo racconto si base su questo pezzzo)